[I nostri racconti] Serata autoctona Go Wine da Azzurro Due

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Serata piacevole quella organizzata da Go Wine presso il ristorante AzzurroDue, (via Aurelia di Levante, 8a – www.azzurrodue.it). Bellissima esposizione a ridosso sul mare, non già la disposizione dei tavoli per la quale mi spingo a una critica: incastrati che io son rimasta seduta con la gamba del tavolo a mezzo e per alzarmi dovevo chiedere a chi stava dietro di me se poteva andare avanti con la sedia o spostarsi. Il mio amico a capo tavola non si è potuto alzare una volta perché avrebbe dovuto far alzare altre tre persone. E se per bere la formula è self service (nel senso che devi alzarti ed andare dal cantiniere che ti versa il vino che scegli di bere) il risultato non è molto piacevole. 

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Complessivamente non abbiamo cenato male, molto buona la zuppetta ai frutti del mare con molluschi e cCrostini; buono il primo piatto, trofie con zucchine, gamberetti al profumo di basilico. Il secondo prevedeva totani e palamita cotti alla pietra: saporiti e teneri i totani con cottura perfetta, mentre la palamita è riuscita un po’ stopposa (forse avrebbe dovuto essere un po’ meno cotta o avere una marinatura precedente alla cottura). Completamente anonimo il dolce con ricotta, uvetta tunisina e scaglie di cioccolato. Peccato, perché l’abbinamento coi vini da dessert avrebbe potuto essere vincente. Ma comunque, il “piatto principale”, protagonista assoluto, erano i vini, ed è di loro che voglio raccontarvi. I vini in degustazione (da nord a sud) erano tanti, e quasi tutti interessanti. Posso solo raccontarvi di alcuni, gli altri o non sono riuscita ad assaggiarli o l’ho fatto senza con l’attenzione che avrebbero meritato e quindi preferisco non esprimere un parere.

Valle d’Aosta Chardonnay “Elevé en Fut de Chene” 2011, Maison Anselmet – Senz’altro un vino ed una cantina meritevoli di attenzione. La Maison Anselmet ha le vigne nei comuni tra Saint pierre e Villeneuve. E’ una piccola azienda a gestione familiare che si è fatta conoscere negli ultimi anni a suon di premi e riconoscimenti. Il suo è uno Chardonnay in purezza affinato in barrique francesi: Il colore è giallo paglierino con sfumature verdoline, al naso è intenso, si sentono i fiori bianchi, la frutta fresca ed appena accennato il legno. Il tutto lo si ritrova in bocca. All’assaggio è estremamente fragrante e sapido con una morbidezza (potrei dire burrosità) ed eleganza notevoli. Che dire, se non: buonobuonobuono.

Lugana Brolettino 2010, Ca’ dei Frati – Vino interessante, prodotto da un autoctono della zona del Garda, la turbiana. Viene vinificato in acciaio prima e poi affinato in barrique per circa 10 mesi, seguono tre mesi di affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Un vitigno che non conoscevo ma che mi ha fatto apprezzare questo vino che ho trovato complesso, sia al naso che in bocca; si sente la frutta matura, un accenno di nota balsamica, ed infatti è fresco, ottima struttura e buona acidità, sapido ed elegante. Un bianco che può tranquillamente essere lasciato in cantina per almeno un paio d’anni ancora.

20130823-233500.jpgAmphora 2011, Castello di Lispida – Uve utilizzate: Tocai e ribolla gialla. Vino particolare: oltre all’utilizzo delle anfore di terracotta, si aggiunga una vinificazione senza inoculo di lieviti, senza controlli sulla temperatura, nessuna filtrazione, nessun uso di stabilizzanti. Le uve pigiate vengono messe nelle anfore di terracotta prive di manici (chiamate “dolia”) ed interrate con le bucce. La fermentazione parte spontaneamente nell’arco di una giornata. Si lascia fermentare bagnando sempre il cappello (follatura) a contatto con le bucce a temperatura costante, si sigilla l’anfora fino all’equinozio di primavera (epoca in cui si effettua il primo travaso), si pulisce l’anfora e si reintroduce il vino (questa volta senza le bucce) ad affinare ancora otto mesi prima dell’imbottigliamento. Sei mesi di riposo in bottiglia prima della messa in vendita. Pare che l’ Amphora bianco possa resistere in bottiglia molto a lungo (si dice fino ai 20 anni). In vigna i trattamenti sono limitati, la raccolta dell’uva è manuale. Presentato al mercato nel 2003, è fra i primi vini italiani interamente prodotti in anfore di terracotta. Purtroppo l’ho trovato spento, forse la bottiglia non era perfettamente conservata o forse non avevo io la lucidità per apprezzarlo ma non ho sentito né la mineralità né la profondità che avrebbe dovuto caratterizzarlo. Spero di avere occasione di riassaggiarlo perché non ho trovato nel vino quello che mi aspettavo.

Colli Orientali del Friuli Speziale Bianco 2010, Scubla – Così come lo speziale in antichità, che con l’uso sapiente delle sostanze componeva medicamenti, così il produttore con l’assemblaggio delle diverse uve ottiene il vino. (lo speziale era il farmacista dell’antichità ed è anche il mestiere della moglie del produttore, un’analogia quindi che è anche un omaggio alla sua signora). Uvaggio di malvasia istriana, ribolla gialla in parti uguali e una piccola percentuale di friulano (ex tocai friulano). Il colore è giallo paglierino con qualche riflesso verdolino, il profumo è intenso ma non come ci si aspetterebbe dal vitigno aromatico per eccellenza, (ricordiamoci che però non tutte le malvasie sono aromatiche nella stessa misura), ma è comunque molto caratteristico, veramente piacevole al naso, ma la sorpresa è in bocca; fruttato, morbido e caldo. Grazie alla sua acidità, probabilmente data soprattutto dalla ribolla, rimane fresco e delicatamente aromatico, piacevole a bersi.

Lazio Bianco Moro 2010, Carpineti Marco (vino biologico) – Piacevolissima sorpresa per la sottoscritta che snobba spesso i vini bianchi laziali… e comunque questo non è un vino comune, si ricava da uve di vitigni autoctoni che pare siano della famiglia del Greco Bianco detti “il moro” e “il giallo” dal colore dell’acino (verde scuro uno, quasi trasparente l’altro) e che in pochi oramai vinificano causa la scarsa resa e la difficoltà a coltivarlo. In una delle vigne a Collesanti, il produttore ha selezionato e coltivato alcuni ceppi da cui si ricava il Moro. Una parte del mosto fiore viene fatta fermentare in barrique. Da qui sapore sapido, leggermente minerale elegante e pieno, dai profumi di frutta. Essendo questo un vino un po’ fuori dall’ordinario, le mie riserve sui bianchi laziali continuano, meno, ma continuano. Maledetta testardaggine!

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Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2010, Marisa Cuomo –  A mio avviso il vino più buono. Il mosto fiore, proveniente da uve surmature (la vendemmia si effettua dopo la metà di ottobre) viene lasciato fermentare per tre mesi in barrique di rovere. Il colore è giallo carico. Al naso fiori gialli e frutta quale albicocca, mango. In bocca è lungo, persistente. Albicocca secca, uva passa, canditi. Uve utilizzate fenile 30%, ginestra 30% ripoli 40%. Sono vitigni tipici esclusivamente della costiera amalfitana, con profili aromatici molto tipici ed originali. Spesso i vitigni autoctoni crescono e si adattano bene solo in alcune zone, talvolta anche molto circoscritte, come in questo caso. In Costiera troviamo anche il Tintore di Tramonti, e la Pepella. Una curiosità: in Italia i vitigni classificati autoctoni sono circa 370: sicuramente una stima per difetto poiché, di molti, non si conosce ancora il profilo genetico. Una potenzialità che i produttori stanno imparando a sfruttare al meglio.

Abbiamo chiuso coi vini da dessert e anche in questo caso ho avuto una piacevole sorpresa. I vini sono stati:

  • Moscato d’Asti 2012, Gianni Doglia.
  • Moscato passito di Pantelleria Karuscia 2007 – Minardi

Tra un moscato piemontese ed uno siciliano avrei detto: Sicilia tutta la vita. Sì, lo so, lo so, sono un po’ ottusa, ma che ci si può fare? Sono una che si affeziona. Ma ho di buono che sono aperta alle nuove esperienze e quindi pronta a ritrattare…ei meno male che l’ho assaggiato. Anzi, me lo sono proprio gustato. La fermentazione viene bloccata quando vengono raggiunti i 5 % vol. in alcol con un abbassamento veloce della temperatura. Il risultato è un vino in cui al naso sono evidenti le note fresche degli agrumi, della mela e pesca bianca, la rosa e i fiori bianchi. Ma è in bocca che mi ha conquistato. Io che non amo il dolce, l’ho trovato elegante, per niente stucchevole, ben bilanciato nelle componenti morbide dalla sua acidità. Fresco, grazie ai sentori di agrumi e alla sua lieve effervescenza. Un moscato d’Asti fatto proprio bene. Ho trovato buono il moscato di Pantelleria ma, avendolo accompagnato ad un dolce decisamente insignificante (mi scuso con chi lo ha fatto ma è un parere unanime di 10 persone quindi mi sento di poterlo dire) non l’ho apprezzato come forse meritava. Una serata calda, una compagnia piacevole, la possibilità di assaggiare vini un po’ fuori dall’ordinario… cosa chiedere di più?

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