Cantina Rocche del Gatto – Albenga (SV)

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Ripensando alla visita alla Cantina Rocche Del Gatto di Fausto De Andreis, ancora oggi ho la convinzione che sia stata una domenica memorabile, di quelle da ricordare davvero. Aldilà della quantità di bottiglie aperte – ne ho contate 28- che non sono proprio poche, l’intensità e la qualità dei percorsi didattico esperienziali che abbiamo fatto è di quelle che non si dimenticano.

Tre affascinanti escursioni tra Vermentino, Pigato e Spigau. In cui ogni vino aveva qualcosa di diverso, di particolare dall’altro, ogni bottiglia riservava una sorpresa. L’amico Danilo, l’organizzatore della giornata e “sponsor” di Fausto, mi ha detto che queste verticali gli hanno ricordato la montagna, quando si comincia da fondo valle la risalita lungo un sentiero erto e sconosciuto che non si conosce ma che in ogni curva la vista si apre a incomparabili panorami fino ad arrivare alla vetta, così siamo partiti dall’assaggio nelle vasche per passare alle degustazioni delle varie annate in bottiglie dalle sensazioni uniche e, perché no, difficili. Ma raggiunta la cima si è gratificati e premiati da incomparabile scenario (leggi Spigau 1998). La metafora mi è piaciuta e la riporto così come gli è venuta.

logo-rocche-del-gattoPerché è vero, così come le scalate, i vini di Fausto non sono facili, sono però vivi, autentici. Devi entrarci dentro, ascoltarli per scoprire che c’è un po’ di lui in ogni bottiglia. Descrivendo lui racconti i suoi vini. Un personaggio che si discosta dall’ ordinario. Da quando, nel 1995 la commissione per assegnare le doc e docg gli ha bocciato il suo pigato non ritenendolo conforme alle “caratteristiche organolettiche” che esso deve avere, il suo Pigato è diventato “spigau”. Il nome è diventato “Spigau Crociata” e la croce il simbolo contro chi antepone le logiche commerciali a quelle naturali.

Certo è che se di Pigato e Vermentino li immagini come vini freschi, piacevolmente fruttati, perfetti come aperitivi o piatti liguri dove sono presenti verdure, pesce e carne bianca, allora i vini di fausto non sono tutto questo e il non rientrare nelle doc non può che essere un bene, così può liberamente sperimentare e lasciare che quelle uve seguano il loro destino. E che i colori si trasferiscano nel vino con la lunga macerazione sulle bucce, che i residui fissi siano quelli di un vino rosso così come la loro longevità. E il piace non mi piace diventa relativo. Come deve essere. Come mi piace pensare che sia. Solo il gusto personale deve decidere il “mi piace”e “non mi piace”, non un gruppo, una commissione, una pubblicità o un brand. Quindi il potere alla scelta. Non giudico nessuno in un senso ed in un altro, ma credo che nel mercato mondiale i gusti non debbano necessariamente essere globalizzati e che nessuno deve imporre o pilotare il gusto di alcuno ma debba esserci lo spazio per chi voglia un prodotto sempre uguale a se stesso, chiaramente identificabile così come chi voglia creare un suo prodotto particolare che le persone apprezzino in quanto tale.

Per fortuna in diversi stanno cominciando a volersi distinguere, lasciando parlare di più l’uva, la terra e meno il confezionamento. Meno le artificiosità di lieviti inoculati, di solfiti, legno e quant’altro. In cantina al mosto viene dato il tempo di estrarre dalle bucce tutta la sua carica aromatica e minerale, e al vino quello di maturare, trasformarsi, affinarsi.

E il Pigato di Fausto, più sosta in bottiglia e più si caratterizza. Le note floreali ed erbacee si ampliano. Non fiori chiari e delicati, ma quelli del territorio ligure un po’ rude e impervio, e quindi la ginestra, la macchia mediterranea si mescolano a quelle sapide e minerali. Secondo le annate riesci a sentire le note di idrocarburo, di funghi secchi, di tartufo.

Nello “spigau”le note riduttive, tanniche, di idrocarburi, col passare degli anni si affievoliscono e le spezie, il pepe bianco e la liquirizia, la noce moscata , la polvere da sparo, le note minerali si sentono sempre più palesi, Le annate 2003 e 1998 superlative. Hanno un retrogusto che non finisce mai.

sta pensando cosa stapare d'altro.Anche il Vermentino si avvantaggia dall’affinamento in bottiglia rendendolo un vino che di norma non è destinato all’invecchiamento, particolare, in cui le note del mare e del bosco, la salvia, l’alloro e la frutta secca stimolano il naso e lo incuriosiscono e si trovano in bocca con la sua sapidità e mineralità, – chi non lo crede è invitato ad assaggiare l’ Intin 2005, che non per caso è soprannominato “l’highlander”. Un vino dalle note lievemente ossidate, ma che regala emozioni, che ogni anno cambia, in meglio.

Sarà che non eravamo molti e quindi siamo riusciti a prenderci i nostri tempi e che si è creata un’atmosfera particolare ma mi viene spontaneo pensare che difficilmente si potrà replicare una esperienza analoga. Come spontaneamente rifletto che molti dei vini che berrò dopo quelli di Rocca del gatto, saranno forzatamente “banali”.

Riepilogo dei vini (de)degustati. Vermentino 2013 da vasca poi 2012,2011, 2010 2008 (una appena stappata ed una già aperta per comparazione), Intin 2005 (highlander) Pigato: 2013 da vasca, due distinte vasche poi 2012,2011,2010,2009,2008,2006,2004 Spigau 2012 e 2011 da vasche, 2010, 2009 2008 2007 2006 2004 2003 e 1998. Non dimentichiamo i rossi Macajolo da vasca e da bottiglia (2012) e Rossese, freschi e pronti da bere Oltre al viaggio nei suoi vini, Fausto ci ha salutati con un metodo classico “Val Luretta Principessa” 2007. A presto, Fausto!

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